Cosa Succede sui Mercati – 3 settembre 2018

Alceste Campriani, LA VISITA ELETTORALE, 1880

A novembre ci saranno le elezioni di mid-term in USA e dopo pochi mesi si terranno quelle europee, molte delle mosse dei politici di tutto il mondo sembrano tese ad aumentare il proprio consenso elettorale senza, come dire, particolare attenzione alle possibili conseguenze di lungo termine. I mercati, almeno per ora, non sembrano prendere in considerazione i rischi prospettati dagli economisti. Gli indici azionari americani cercano di segnare nuovi massimi storici.

Tra Washington e Pechino: il clima continua a peggiorare. Nei giorni scorsi delegazioni di medio livello si sono incontrate senza raggiungere alcun accordo.

Il volume degli scambi attualmente colpito da dazi è pari a 50 mld ed altre tariffe sono allo studio mentre non sono previsti, almeno fino alle elezioni in USA, altri colloqui per trovare una soluzione. Anche sul fronte delle trattative con il dittatore coreano non ci sono passi avanti e Pechino viene accusata di scarsa collaborazione da parte di Trump.

Il vero obiettivo di Washington appare sempre più quello di contrastare il progetto cinese di trasformarsi in una super potenza grazie al piano China 2025. UBS nel suo ultimo report mensile evidenzia come il predominio economico degli USA sia, in qualche misura, messo in discussione dalla crescita cinese. La banca svizzera cita una dichiarazione resa a gennaio dal segretario della Difesa di Trump secondo cui il maggior pericolo per gli USA non è più il terrorismo bensì la concorrenza tra grandi potenze. Evidenzia come l’ostilità di Washington possa mettere in pericolo l’obiettivo di Pechino di riequilibrare il proprio percorso di crescita che soffre di un forte aumento dell’indebitamento come mostra il grafico sottostante. Far calare il debito significa far rallentare l’economia e potrebbe essere complicato farlo in un momento in cui i dazi già fanno da zavorra(!)

Negli ultimi mesi inoltre si è registrato un calo della valuta cinese pari all’8%. Tra il 2015 ed il 2016 una svalutazione di circa il 6% dello yuan portò ad una perdita del 15% nei mercati azionari globali: si temeva una fuga di capitali dalla Cina. Da allora sono stati introdotti controlli sui capitali per ridurre quel rischio. Attualmente le riserve cinesi sono considerate adeguate: dai minimi del 2016 sono aumentate di circa 600 mld. Qualcuno però fa un parallelo con quanto successo recentemente in Turchia dove Trump ha imposto tariffe doganali a seguito di quello che ha considerato un eccessivo deprezzamento della lira turca. Appare, comunque ragionevole la posizione di chi ritiene che le autorità cinesi non si lasceranno scappare di mano la situazione. Quella dei dazi è forse la principale argomentazione usata dai pessimisti, poi ve ne sono altre tra cui quella che riguarda il caso italiano su cui torneremo. Chi guarda con occhio critico alle prospettive dei mercati ricorda che nella seconda metà del mese scorso lo S&P 500 ha segnato il periodo di rialzo più lungo della storia : 9 anni. E’ salito del 230% in 9 anni; il periodo di rialzo più lungo, anche se non quello col guadagno più alto. Il motivo principale è legato all’andamento dei tassi di interesse che dal 2007 sono stati portati a zero e che solo dal 2017 hanno nuovamente superato l’uno per cento, sulla base di un percorso di rialzo che si prevede prosegua nel 2018 e nel 2019. Un articolo di Martin Feldstein, professore di Economia ad Harvard, spiega le conseguenze che la teoria economica associa ad un amento dei tassi di interesse sulla quotazione delle azioni. Per prima cosa ricorda che molti investitori si sono risolti a comprare azioni per una sorta di mancanza di alternativa: remunerazione inesistente del settore obbligazionario. Un’ alternativa che, invece, almeno negli USA, si sta concretizzando come si può vedere dalla tabella seguente.

La prima colonna evidenzia i rendimenti per la scadenza decennale a fine agosto quelle successive mostrano l’andamento passato dei tassi mediante fotografie scattate nei mesi e negli anni scorsi. In particolare negli USA i tassi in quella parte della curva sono quasi al 3%. Secondo il professore di Harvard, nei prossimi anni potrebbero arrivare al 5%(*) spinti dal maggior debito federale che, a seguito della politica fiscale di Trump, potrebbe passare dal 70 al 100 per cento del PIL. Potrebbero essere spinti anche da un’inflazione in crescita: attualmente quella generale è quasi al tre e quella che esclude i beni più volatili, ossia energia ed alimentari, è al 2,4%. Infine dalle decisioni della FED che sono stimate portare i tassi al 2,4% a fine 2018 e al 3,1% e 3,4% al termine dei due esercizi successivi.

La seconda riflessione di Feldstein riguarda il criterio di valutazione delle azioni. Valutare un’azienda è un’operazione complessa che spesso viene conclusa facendo la media dei risultati ottenuti con vari metodi di calcolo. In ogni caso uno dei più diffusi richiede di attualizzare gli utili attesi negli esercizi successivi. Un’operazione matematica che prevede di dividere gli utili per un numero pari ad un’unita aumentata del tasso di interesse. Tanto per fare un esempio si potrebbe avere 100/1,1 se il tasso di interesse fosse il 10% oppure 100/1,05 se l’ipotetico utile di 100 fosse da scontare al 5%. 100/1,1 = 91 e 100/1,05 = 95 in altre parole più aumentano i tassi meno valgono le azioni. Tra gli elementi che gli investitori seguono con attenzione c’è sicuramente il comportamento del nuovo governo italiano che finora ha fornito elementi, come dire, non rassicuranti, al punto che le agenzie di rating appaiono sul “piede di guerra”. Fitch è stata l’unica delle 4 agenzie ad aver già emesso il verdetto sull’Italia. Ha lasciato il giudizio invariato pur rivedendo al ribasso il cosiddetto outlook, che può essere definito come una traccia circa la prossima decisione. Bini Smaghi, ex BCE ed attuale presidente della banca francese SOC.GEN., in una intervista spiega come venga utilizzato dagli investitori il giudizio sul rischio di credito delle aziende e degli Stati emesso dalle 4 agenzie di rating: 3 statunitensi ed una canadese. Al momento l’Italia può scendere solo di due gradini, di quella scala ideale che inizia con AAA, prima di ritrovarsi considerata come “spazzatura” e non poter aver più l’assistenza della BCE, che al momento accetta i nostri titoli di Stato come garanzia. L’attenzione ai provvedimenti economici di Roma e al giudizio delle agenzie di rating spesso fa parlare di complotti e/o di ingiustizie sociali da riparare pensando prima ai cittadini che non ai mercati. Tutte queste per altro più che comprensibili analisi, trascurano una “piccola” evidenza: l’Italia deve ottenere ogni anno circa 400 mld di prestiti per rinnovare i titoli che vanno a scadenza a cui si aggiunge quanto serve a finanziare il nuovo deficit (**): quello di cui si discute ogni giorno sui giornali con numeri che vanno dall’uno, o anche meno, al sei per cento ( chi propone questi numeri spesso guarda alle europee del prossimo maggio….)

Questi 400 Mld di prestiti non sono concessi da burocrati europei o da altre figure influenzabili politicamente, ma da persone che hanno la responsabilità delle somme loro affidate da piccoli risparmiatori e/o da persone che intendono costruirsi una pensione. Difficilmente si può chiedere loro di prestare soldi a chi non ha una capacità certa di rimborso ed è così che si arriva (genericamente parlando) al default di un paese. Non mancano come dire, gli spiriti liberi, che evidenziano che il fatto che l’Argentina sia stata costretta ad aumentare i tassi di interesse al 60% non è tanto legato ai fondamentali quanto alla perdita di fiducia dei mercati. Nel caso italiano simili aumenti dei tassi sono esclusi dall’appartenenza all’euro… !

Abbandanonado l’Italia e tornando nel resto del mondo, ovviamente anche le elezioni di mid term vengono prese in considerazione ed il timore è che per recuperare consensi al proprio partito Trump possa accelerare sui dazi alla Cina e all’Europa. In una recente intervista a Bloomberg tv, dopo aver mostrato segni distensivi sul fronte del NAFTA, ha detto che potrebbe portare a 200 mld l’entità degli scambi cinesi colpiti da dazi: a quel punto la guerra commerciale sarebbe una realtà. Inoltre ha parlato dell’Europa dicendo che è peggio della Cina, respingendo le aperture sui dazi automobilistici.

Al netto di quanto esposto sopra, va detto che, basandosi sui risultati attesi delle trimestrali, il mercato azionario statunitense potrebbe continuare a salire. Merril Lynch parla di un obiettivo a fine anno per lo S%P 500 di 3.000 a fronte dell’attuale quotazione intorno a 2.900. Rispetto a quanto detto sopra, circa le conseguenze sulle azioni di un rialzo dei tassi, va detto che nella fase iniziale di un rialzo, che non sia dettato da una rincorsa all’inflazione, i mercati normalmente salgono ancora.

G.G e M.R.

(*) Feldstein arriva al 5% calcolando che, in condizioni di mercato normale, i decennali hanno un rendimento reale, ossia al netto dell’inflazione, pari al due per cento .Da ricordare la relazione inversa tra quotazione e rendimenti dei titoli a tasso fisso che, quindi, potrebbero subire perdite in conto capitale in “virtù” della relazione matematica tesa a garantire che il rendimento di tutti i titoli acquistati sui mercati sia uniforme. Se un titolo ha una cedola più bassa rispetto al rendimento di mercato questo verrà garantito all’investitore mediante una correzione del prezzo di acquisto che sarà più basso di quello di rimborso.

(**) Il deficit annuale non è altro che una modalità di aumentare il debito per il quale paghiamo circa 80 mld all’anno di interessi ai tassi attuali. Il debito totale è di circa 2300 mld ed ogni anno 400 mld devono essere rinnovati. In pratica l’aumento dello spread delle ultime settimane è costato circa 6 mld. A proposito di spread, ossia la differenza tra quanto rende un titolo di Stato tedesco a 10 anni ed uno italiano, va detto che si sta ampliando anche su scadenze inferiori

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