Cosa succede sui mercati – 3 febbraio 2019

Arthur ELSLEY (1860-1952): AMICI O NEMICI. USA e Cina stanno portando avanti il loro negoziato nell’ambito della tregua stabilita fino al primo marzo.

Il confronto tra Washington e Pechino sembra ormai dichiaratamente lanciato anche oltre i dazi. L’economia cinese ha riportato un lieve rallentamento ufficiale: qualcuno pensa che in realtà sia più pesante! Il mese di marzo dovrebbe portare un verdetto anche sulla Brexit. Francia e Germania hanno siglato un nuovo patto. Draghi non ha annunciato nuovi prestiti alle banche (LTRO), ma potrebbe farlo a breve. Lo shutdown, dopo aver segnato un record, è stato interrotto.

Pechino e Washington stanno portando avanti un negoziato per evitare un rialzo delle tariffe da marzo. Possiamo dire che trapelano notizie contrastanti: da una parte sembra che un accordo sul commercio possa essere trovato, dall’altra appare più difficile che il contrasto di fondo possa essere sanato; ci riferiamo a quello che sembra emergere da quando Xi ha lanciato il programma China 2025 per affermare la Cina come grande potenza tecnologica (programma che sembra di fronte ad un rallentamento probabilmente ben più pesante di quello denunciato ufficialmente).

La pratica, che già Obama aveva iniziato a contrastare, di chiedere accesso alla tecnologia delle aziende statunitensi ha aiutato la Cina ad avere un discreto bagaglio tecnologico, ma non è ancora al livello statunitense. Dieci anni fa le carte di credito erano guardate come un oggetto sconosciuto ora sono considerate arretrate perché si preferisce pagare col telefonino. Per fare un altro esempio si pensi a WeChat. Un servizio di messaggistica cinese, sviluppato da Tencent, che viene a volte definito il WhatsApp cinese; andrebbe però detto che ha più funzionalità di quello di proprietà di Facebook. Circa gli accordi commerciali i cinesi non possono raggiungere il pareggio con gli USA per quanti sforzi possano fare comprando il mais, a scapito del Brasile, oppure il gas. E’ possibile che lo raggiungano, nei prossimi anni, con il resto del mondo grazie ai flussi turistici. Gli americani poi vorrebbero anche che non ci fossero più trasferimenti di tecnologia e che non fossero favorite le imprese pubbliche, elementi che la Cina non può concedere. Probabilmente una “tregua” , che vada oltre il due marzo, ci sarà per venire incontro ai mercati, ma la qualità dei rapporti appare sempre più compromessa.

D opo i colloqui tenuti in USA nessuna delle due delegazioni ha ritenuto di poter fare degli annunci, l’unica presa di posizione è stato un twitter di Trump che ha sostenuto la necessità di un incontro tra lui e Xi. Incontro che potrebbe esserci a fine febbraio preceduto da un altro incontro in Cina a metà febbraio tra negoziatori di livello inferiore che avrebbero, evidentemente, poche deleghe. Sul versante commerciale, in realtà, la Cina è pronta a dare rassicurazioni su maggiori acquisti e sta persino approvando una nuova legge sugli investimenti esteri per concedere meno vincoli, ma sul fronte, come dire, strutturale i problemi rimangono; basti pensare che gli USA hanno presentato 23 capi di accusa contro la figlia del fondatore di Huawei attualmente bloccata in Canada. La Cina cerca di portare avanti il suo cammino verso nuove frontiere tecnologiche e questo è un discorso, del tutto diverso dalle tensioni commerciali, sul quale un accordo evidentemente non è possibile e a cui qualcuno fa riferimento parlando della trappola di Tucidide (*) magari ricordando che tra pochi anni, diciamo 20, saranno più le persone che parlano inglese uscite dalle università di Pechino che non quelle abitanti negli USA.

L a crescita cinese è stata annunciata pari al 6,6% per il 2018, con il quarto trimestre che avrebbe riportato il 6,4%. In molti fanno notare come le cifre cinesi continuino a muoversi con un ritmo che sembra controllato e credono che la crescita del PIl possa essere persino pari alla metà di quanto dichiarato. Le misure prese per aiutare la crescita, inoltre, fanno temere che il livello di indebitamento sia davvero alto, senza considerare il sistema bancario ombra. Si parla anche di neo laureati che non trovano lavoro e di molte società fallite. Di un regime che sembra tornare più ideologico che non attento all’economia: prima dell’avvento di Xi le imprese private ottenevano più del 50% dei nuovi finanziamenti adesso hanno poco più del 10%. Qualche analista punta l’attenzione sul rallentamento dei consumi sottolineando che il loro rilancio sarebbe l’obiettivo principale del governo.

Come sappiamo la crescita cinese è da sempre in cima alle preoccupazioni degli investitori anche se non manca chi si dichiara convinto che le autorità cinesi possano trovare ancora una volta una via d’uscita. Morgan Stanley analizza alcuni dei dubbi più diffusi: quello secondo cui i recenti stimoli non starebbero producendo effetti e quello secondo cui troppi aiuti potrebbero essere controproducenti visto che Pechino deve ancora riassorbire gli sforzi fatti dal 2008 quando ha investito 800 mld di dollari. La casa d’investimento americana, pur non disconoscendo i rischi, sostiene che gli stimoli sono stati intensificati solo a dicembre e, quindi, serve ancora tempo e soprattutto che sono puntati non più sulla quantità, ma sulla qualità. Ad esempio sarà incentivato l’acquisto di auto per rilanciare i consumi. In un articolo sui rischi dell’economia globale Kenneth Rogoff, noto professore ad Harvard ed ex capo economista del FMI, parla anche della Cina e non esclude che possa ancora una volta smentire i seri dubbi nei suoi confronti. Sulla Cina in particolare Rogoff osserva come la crescita dei consumi sia ormai l’unica percorribile.

Tornando al resto del mondo, tra i rischi globali quello, forse, più rilevante è che un’ascesa dei populismi possa portare ad un diffuso scetticismo verso la tenuta del debito e, quindi, ad un aumento dei tassi che potrebbe essere davvero poco simpatico. L’alto livello del debito spaventa tutti gli economisti soprattutto perché limita la possibilità di fornire risposte in caso di shock esterni quali potrebbero essere guerre commerciali, epidemie, crisi finanziarie e attacchi informatici. Tra gli elementi di rischio sono citati ovviamente, oltre alla B anche Italiane, la Brexit ed il crescente caos politico a Washington.

In USA la FED ha confermato che potrebbe fermare il percorso di rialzo dei tassi; sul versante politico possiamo notare il temporaneo arresto dello shutdown rinviato al 15 febbraio (**) sempre in rapporto al completamento del muro con il Messico. Va però segnalato soprattutto il comportamento del GOP (Grand Old Party è un modo di chiamare il Partito Repubblicano statunitense) che ha marcato le distanze da Trump a proposito del ritiro dalla Siria e dall’Afghanistan e che di fatto resta solo un annuncio. I 35 giorni di chiusura dello Stato hanno esasperato un clima che aveva già portato ad una legge per impedire l’uscita dalla Nato ed al fallimento di un piano della Casa Bianca per alleggerire le sanzioni nei confronti di un oligarca russo. Si parla persino della possibilità che il partito repubblicano non candidi Trump nel 2020, anche se ancora non circolano nomi alternativi. Al contrario Nancy Pelosi, la leader democratica che ha fronteggiato il Presidente nei 35 giorni di trattative, viene citata come possibile candidata.

 

Sul fronte europeo abbiamo la firma di un nuovo patto tra Francia e Germania dopo quello, ben più significativo, dell’Eliseo firmato nel 1963 da De Gaulle ed Adenauer per porre fine ad una storica rivalità. L’accordo si concentra sul tema della difesa, o per meglio dire sull’industria legata alla difesa, senza toccare minimamente le necessarie riforme economiche legate all’unione bancaria. La BCE potrebbe annunciare una nuova operazione di finanziamento alle banche tramite i cosiddetti TLTRO (Targeted Long Term Refinancing Operation) anche se per ora, venendo meno alle aspettative dei mercati, non l’ha fatto. Come è noto Draghi tra qualche mese dovrà essere sostituito, al momento i candidati sono il governatore della Banca di Francia ed un ex governatore centrale finlandese, poco probabile che la spunti il presidente della Bundesbank a causa delle forti critiche portate avanti dalla Germania al QE. Nel dicembre scorso la Corte di Giustizia Europea ha respinto un ricorso che tendeva a stabilire l’illegalità degli acquisti di titoli di Stato sul mercato secondario da parte della BCE, uno dei tanti che cittadini tedeschi hanno fatto negli anni scorsi.

La Brexit continua a non avere una chiara prospettiva. Il prossimo appuntamento a Westminster è fissato per il 13 febbraio dopo che la May avrà fatto un ulteriore giro di consultazioni in Europa, per quanto siano bastati meno di 10 minuti a Bruxelles per respingere l’ultima richiesta di rinegoziare l’accordo di ritiro e per trovare soluzioni diverse al meccanismo di sicurezza, teso ad evitare il ritorno di una frontiera fisica in Irlanda, il cosiddetto “backstop”. L’Unione europea ha detto di essere disposta ad

accettare una richiesta di rinvio, ormai mancano meno di due mesi, ma solo a patto che sia ben motivata; nuove elezioni potrebbero essere un valido argomento. La richiesta di rinvio dovrebbe, comunque essere approvata all’unanimità. Un’altra soluzione, al momento assolutamente non all’orizzonte, sarebbe il ritiro della richiesta di uscita, in questo caso l’Europa non potrebbe opporsi.

Passando ai mercati, i maggiori analisti rimangono, comunque ottimisti sullo stato dell’economia mondiale e dei mercati azionari. Si basano, possiamo tranquillamente dire, essenzialmente sul potere dei consumatori statunitensi che godono di piena occupazione e di un prezzo della benzina contenuto. A gennaio sono stati creati 304.000 nuovi posti di lavoro, quasi il doppio delle attese. Il mese di gennaio è stato il centesimo mese consecutivo di crescita nel mercato del lavoro. Va, comunque detto che aumentano i lavori ad alta specializzazione e quelli manuali mentre la fascia centrale ha perso posti. Durante lo shutdown ha sorpreso molto che i dipendenti statali non avessero risparmi da parte e siano stati visti in coda alla mense dei poveri .

(*) Chi cita la trappola di Tucidide intende riferirsi al fatto che, come ai tempi di Atene e Sparta, stiamo vivendo in un’epoca in cui una potenza dominate è minacciata da una emergente. Tucidide, storico del quinto secolo avanti Cristo, attribuiva la guerra tra Atene e Sparta al fatto che Atene stava crescendo rapidamente e questo spaventava Sparta. E’ stato l’attuale capo supremo della Cina, Xi Jinping, qualche anno fa a sollevare pubblicamente il tema, ad evocare la trappola di Tucidide sostenendo che Cina ed USA avrebbero dovuto fare tutto il possibile, negli anni a venire, per non cadervi dentro.

(**) Nelle tre settimane di tregua è stata creata una commissione di 17 parlamentari, deputati e senatori, che dovrebbe trovare un accordo. Dopo una riunione pubblica stanno proseguendo lentamente, e a porte chiuse, gli “sherpa”. I democratici hanno chiesto, con l’accordo dei repubblicani, di sentire chi lavora sul confine per sapere se c’è un’emergenza in corso al confine. In realtà di emergenza è difficile parlare visto che sono 30 o 40 anni che c’è l’attuale situazione, per tacer del fatto che lo spagnolo è la lingua più parlata negli USA… . In mancanza di un accordo Trump potrebbe dichiarare un’emergenza nazionale anche se persino i repubblicani lo hanno sconsigliato di farlo. Qualche altro annuncio potrà essere fatto martedì prossimo durante il discorso sullo stato dell’Unione inizialmente previsto per il 29 gennaio. Significativo è il fatto che Nancy Pelosi abbia affidato la prevista replica a Stacey Abrams, una donna afroamericana al momento senza alcuna carica politica, molto attiva nel denunciare tutte le manovre adottate per ostacolare il voto delle minoranze in Georgia, Stato in cui è stata candidata, perdente, alle elezioni come governatore. Negli USA il diritto al voto, per quanto paradossale possa essere, è una cosa da conquistare. Bisogna registrarsi, bisogna avere il tempo per farlo e per votare. Le elezioni si tengono in giorni lavorativi e spesso prevedono delle code.

G.G e M.R.

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