Cosa succede sui Mercati – 9 Giugno 2019

Henry MOSLER (1840-1921): TEMPESTA IN ARRIVO. Nei giorni scorsi i mercati si sono indeboliti, sulla scia delle tensioni commerciali, giustificando il dubbio che sia in arrivo un’inversione di tendenza.

L’aumento delle tariffe tra Pechino e Washington sta entrando in vigore. Trump ha preso provvedimenti contro Huawei. Tensioni sullo spread e ragionamenti sulla ristrutturazione del debito italiano. La Brexit probabilmente sarà ancora rimandata.

Trump è stato in Giappone, che ha uno squilibrio commerciale con Washington di 60 miliardi, dove ha cercato di ottenere accordi a favore degli agricoltori statunitensi, ma senza successo. A luglio ci saranno elezioni nazionali ed inoltre il Giappone ha già accordi con l’Europa a cui ha aperto il mercato in cambio di agevolazioni per l’esportazione di auto.

Il Giappone poi ha portato avanti l’accordo commerciale transpacifico: il TTP che riguarda pure l’agricoltura. Trump ha anche cercato di ottenere un impegno a non svalutare lo yen, ma sempre senza raggiungerlo. La richiesta nasceva dall’osservazione del comportamento cinese che ha praticamente “cancellato” le sanzioni svalutando lo yuan.

Il confronto tra Pechino e Washington continua e la guerra commerciale è sempre più un paravento per quella tecnologica. Google ha annunciato, a seguito delle disposizioni della Casa Bianca, di non p oter più fornire gli aggiornamenti del sistema operativo Android usato dall’azienda cinese Huawei, ma quest’ultima ha comunque in fase di avanzata elaborazione un’alternativa che avrebbe già anche un nome: sogno rosso. Problemi ci sarebbero anche per i semiconduttori. Va detto che i produttori americani hanno espresso preoccupazioni circa possibili effetti boomerang. Ovviamente l’andamento delle trattative commerciali può avere conseguenze sull’andamento dei mercati. Merrill Lynch presenta quatto scenari a livello teorico che immagina poi possano intrecciarsi tra loro. Li vedremo, la sintesi del ragionamento è che siamo di fronte ad una correzione che continuerà, ma non ad un’inversione di tendenza. L’ultima rilevazione del mercato del lavoro statunitense segna un aumento di 75.000 nuovi occupati, un dato tra i più deboli degli ultimi due anni.

Resta invariato il tasso di disoccupazione al 3,6%.

Le altre variabili di natura geopolitica, sostanzialmente legate ai conti pubblici italiani e alla Brexit, rimangono all’orizzonte.

Lo spread tra i nostri titoli di Stato e quelli tedeschi è andato vicino ai 300 punti per poi correggere, rimangono pesanti le differenze tra quanto succede in Spagna e Portogallo che hanno spread inferiori ai 90 punti ossia quasi 200 più in basso rispetto al nostro. Una parte di questa differenza è da molti analisti legata al rischio che l’Italia adotti comportamenti tali che inducano direttamente o indirettamente all’uscita del nostro paese dall’euro. Il problema è sempre l’entità del debito che deve essere finanziato. In particolare tutte le spese in deficit, che rischiamo di essere molte nella prossima finanziaria, devono essere finanziate grazie alla sottoscrizione di titoli. Per gli investitori venire incontro alle esigenze di un paese con un debito alto diventa complicato se questo non mostra un impegno a ridurlo. Impegno che pare assente, anche senza parlare dei mini Bot… (1) ! Spesso si fa un paragone col Giappone che ha un debito pubblico intorno al 200% del PIL cercando di adottarlo come benchmark, ma in realtà ci sono condizioni e circostanze differenti che sconsigliano, come dire, di porsi il debito di Tokyo come paravento. Il Giappone cresce meno dell’uno per cento da 20 anni anche perché gli investimenti privati sono limitati a causa della concorrenza dei titoli pubblici e questo non può essere considerato un obiettivo. Inoltre il Giappone regge perché è inserito in un’area del mondo che gli permette di contare su un traino dell’export, verso Cina India e Corea, che l’Europa non consente all’Italia. In altre parole non ha bisogno di attrarre capitali dall’estero e conta sulla capacità di risparmio interno. Qualcuno potrebbe anche citare la possibilità di stampare moneta ma sono altre le caratteristiche che permettono al Giappone di sostenere un debito così alto, per altro in cambio di una crescita molto bassa. Crescita che Tokyo può “permettersi” grazie ad un mercato del lavoro più flessibile, ad aziende più solide e ad un’area geografica più dinamica. L’Italia, per la propria struttura sociale ed economica, non potrebbe reggere decenni di crescita ancora più bassa di quella che già ha. La Banca del Giappone inoltre per portare avanti il proprio QE è arrivata a comprare non solo titoli di ogni sorta, ma persino oggetti. Sui nostri conti pubblici possiamo dire che si stanno confrontando due teorie: quella del denominatore e quella che, al contrario, fa riferimento a quanto successo finora. Quella del denominatore sostiene che sia possibile abbassare il rapporto tra debito e Pil, pari come sappiamo al 133%, aumentando il deficit e contando sul fatto che poi l’economia andrà meglio e, quindi, si abbasserà il rapporto. La seconda teoria si basa su studi fatti su tutti i paesi che, dopo la seconda guerra mondiale, hanno ridotto il debito; queste ricerche dimostrano che l’obiettivo è stato raggiunto o con l’inflazione, nell’immediato dopoguerra, o riducendo l’avanzo primario (più tasse e meno spese). La strada che il governo seguirà sarà importante per avere o meno la fiducia dei mercati che è ben misurata dai CDS. Si tratta di contratti (i CDS) che permettono di assicurarsi conto la possibilità che un dato emittente vada in default, ossia non rimborsi il capitale, entro 5 anni (2). Attualmente i CDS per l’Italia sono tornati a salire di prezzo (maggior prezzo = maggior rischio, vedi nota 2) e non mancano report di primarie case di investimento che parlano della necessità di una ristrutturazione del debito. Nell’ultimo “fiscal monitor” il FMI sostiene che il rapporto tra debito e PIL di Roma sarà pari al 140% tra 5 anni ed esistono studi che prevedono una ristrutturazione del nostro debito.

Circa la Brexit, come è noto, Londra ha partecipato alle elezioni europee, la May si e dimessa e l’idea è di trovare un accordo entro il 31 ottobre. Gli elettori inglesi hanno punito severamente i due principali partiti e hanno fatto del nuovo partito di Farage il primo partito anche se la somma dei voti dei partiti contrari alla Brexit è maggiore. Il nuovo primo ministro dovrebbe essere indicato dopo il 20 del prossimo mese di luglio e non manca chi immagina che neanche la scadenza di fine ottobre possa essere rispettata. L’accordo da raggiungere, bocciato tre volte dal parlamento, riguarda i contributi d versare all’UE fino al 2020, i diritti dei cittadini delle due controparti che si ritroveranno ad essere “fuori di casa” ed il confine irlandese. Quest’ultimo punto rimane il più controverso. Se dovesse essere raggiunta un’intesa ci sarà poi tempo fino alla fine del 2020 per definire i nuovi accordi commerciali tra le parti e nel frattempo non cambierà nulla, in caso contrario tutto avverrebbe immediatamente ed in modo disordinato! La confusione rimane, comunque alta e tutte le ipotesi rimangano in campo: una nuova proroga, un nuovo referendum ed il ritiro della Brexit in base all’art 50.

Tornando agli scenari disegnati da Merrill Lynch che sono quatto. Il primo parla di espansione, il secondo di crescita moderata, il terzo di contrazione e l’ultimo di recessione. Quello espansivo è essenzialmente legato ad ulteriori sorprese positive sulla crescita statunitense e ad un solido accordo tra Cina ed USA e possiamo considerarlo residuale. Il secondo parla di tassi che rimangono bassi e di un accordo commerciale non chiuso, ma possibile in prospettiva. Il terzo contempla tensioni geopolitiche in aumento e sanzioni verso Pechino che si estendano a tutte le esportazioni cinesi ossia coinvolgendo altri 325 mld. Il quarto parla di una guerra commerciale. Come sempre è molto facile tracciare gli scenari, i problemi cominciano quando si cerca di assegnare loro delle probabilità, la casa d’investimento americana immagina in prospettiva una combinazione dei primi due scenari, ma per i prossimi mesi parla di un mix tra il secondo ed il terzo.

Lo schema riportato sopra è relativo alle possibili evoluzioni delle trattative commerciali tra Xi e Trump secondo UBS. Possiamo dire che riflette le considerazioni di Merrill. Vede un 20% di probabilità che un accordo venga raggiunto nelle prossime settimane, un 50% che si arrivi ad un’intesa o ad una tregua entro i prossimi sei mesi dopo trattative, comunque difficili ed un 30% che, sempre nei prossimi 6 mesi, vengano meno le condizioni per una felice conclusione dei negoziati. Morgan Stanley, nel suo rapporto di metà anno agli investitori, presenta un quadro leggermente più pessimista: parla di un divario tra crescita effettiva e potenziale dell’economia (output gap nella terminologia inglese) che si sta riducendo con conseguente possibile venir meno delle condizioni che hanno fin qui garantito una crescita accompagnata da inflazione quasi inesistente. Inoltre vede valutazioni azionarie elevate.

  1. La pubblica amministrazione italiana ha debiti per circa 60 mld. I tempi di restituzione sono calati rispetto al passato per quanto rimangano distanti da quelli degli altri paesi, poco più di un anno contro tempi che al massimo arrivano a tre mesi. L’idea di rimborsarli con i cosiddetti mini bot, in pratica nuove banconote, difficilmente sarebbe apprezzata dai mercati che la tradurrebbero come un aumento del debito pubblico (purtroppo è diverso per il Paese essere debitore degli investitori piuttosto che di alcuni imprenditori) oppure parlerebbero di una moneta parallela poiché i mini bond avrebbero tagli minimali e sarebbero privi di scadenza. Una moneta parallela che, tra l’altro, potrebbe facilmente cadere vittima di una crisi di fiducia e, quindi, svalutarsi in fretta.

  2. Strumento che permette di garantirsi dal rischio di fallimento di un emittente ossia contro la possibilità che l’azienda o lo Stato a cui si è fatto un prestito non sia in grado di rimborsarlo. L’investitore paga un premio periodico ad una banca per garantirsi il rimborso integrale del prestito qualora l’emittente fallisca entro una certa data. L’entità del premio da pagare per assicurarsi di fatto è un termometro che consente di capire le probabilità che il mercato assegna al fallimento di un dato emittente.

 

G.G e M.R.

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