Cosa succede sui mercati – 15 Dicembre 2019

Arthur John George BROWN (1831-1913): Un nuovo peso. L’Abenomics colpisce ancora! Il Giappone ha lanciato un enorme intervento a sostegno dell’economia, in parallelo con l’aumento dell’IVA, assegnando un nuovo peso alla politica fiscale.

Si parla di 240 mld di dollari, pari al due per cento del PIL, che saranno spalmati nei prossimi due anni. 

Il più grosso intervento, a parte quello del 2008, nonostante l’economia giapponese stia crescendo. Prosegue il dibattito sui rischi, per il mondo bancario, di un panorama di tassi negativi. Torna incerta la partita dei dazi. Il mercato del lavoro statunitense sorprende ancora una volta positivamente. La nuova commissione europea. Le possibili evoluzioni della Brexit. Le aspettative per il 2020.

S hinzo Abe ha guidato il governo giapponese una prima volta tra il 2006 ed il 2007 ed è poi tornato al potere nel 2012. All’inizio del suo secondo mandato ha parlato di un programma economico formato da tre frecce: politica monetaria, fiscale ed un vasto programma di riforme. Nei giorni scorsi ha scelto di dare un nuovo peso alla politica fiscale per accompagnare la politica monetaria espansiva di cui il Giappone è da tempo battistrada. L’aumento dell’IVA, più volte rimandato e necessario per cercare di arginare il debito pubblico, avrebbe potuto innestare un problema per la crescita ed è stato, quindi, affiancato da

un piano di investimenti che, nelle intenzioni del governo, dovrebbe dare all’economia una spinta dell’1,4%. Gli analisti ritengono che possa essere della metà. L’economia giapponese nei prossimi due anni avrà una spinta complessiva di 240 mld di dollari. Si tratta di una misura che potremmo definire preventiva. Viene attuata, in un momento in cui l’economia ancora cresce, nel timore che possa fermarsi a causa dell’aumento dell’IVA per altro ampiamente annunciato nell’ultima campagna elettorale, per il rinnovo di parte del Senato, che Abe ha vinto a luglio. Ovviamente la mossa giapponese ha suscitato gli entusiasmi di chi ritiene che, essendo lo stock del debito giapponese pari al 230% del PIL, ci siano ampi margini per replicare l’iniziativa altrove. Chi non condivide tale entusiasmo ricorda che il Giappone si trova nell’area economica mondiale a più forte sviluppo, che praticamente tutto il suo debito pubblico è detenuto internamente- la metà è in mano alla Banca del Giappone-, che i 240 mld di investimenti previsti sono in gran parte legati ad un ulteriore sviluppo tecnologico e che Abe sta portando avanti anche il terzo pilastro: quello delle riforme. In particolare il Giappone è impegnato in una riforma del sistema pensionistico, assolutamente non invidiabile… , e nel favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro che è rimasta indietro rispetto agli standard occidentali. Un articolo di Kenneth Rogoff, professore ad Harvard ed ex capo economista del FMI, presenta una buona sintesi delle argomentazioni di chi non ritiene saggio lasciarsi andare ad una crescita del debito pubblico nonostante ci siano, al momento, tassi estremamente convenienti. Ricorda che tra i debiti degli Stati ci sono le pensioni e che, in teoria, un governo potrebbe trovarsi a scegliere se pagare i pensionati o gli investitori. Afferma che non ci sono garanzie circa la prossima crisi. Potrebbe non essere accompagnata da un calo dei tassi o, comunque da un panorama come quello attuale. Se fosse determinata, ad esempio, da un’improvvisa necessità di investimenti per fronteggiare il cambiamento climatico i fondi necessari potrebbero non essere a buon mercato. Qualcuno fa notare come il anche debito pubblico statunitense si sia impennato raggiungendo il 100% del PIL.

L’economia statunitense rimane, comunque in salute come testimonia l’ultima rilevazione mensile sul numero degli occupati non agricoli: sono cresciuti di 266.000 unità. A tale proposito va, però detto che il dato è drogato dal riassorbimento di 40.000 lavoratori da parte della GM, inoltre si fa notare come la maggior parte dei posti di lavoro sia creata nei servizi ed in particolare nella sanità e non nell’industria manifatturiera o in quella mineraria dove Trump ha promesso di crearli. La stessa politica dei dazi, che nei prossimi giorni in teoria potrebbe vedere un nuovo impulso dato che la scadenza del 15 dicembre rischia di arrivare senza neanche l’accordo di cui si era parlato sulla prima fase, avrebbe, secondo molti economisti, danneggiato le famiglie americane. Avrebbero sostenuto maggiori spese per 600 dollari l’anno che potrebbero diventare 1.000 se fossero implementati i tassi previsti per metà dicembre. Una diversa politica fiscale in Europa potrebbe arrivare dal programma della nuova Commissione europea anche se per ora la prudenza, come dire, è d’obbligo. La nuova presidente ha inaugurato il suo mandato con un viaggio in Etiopia, patria dell’ultimo Nobel per la pace e sede dell’Unione Africana, ed ha presentato un programma che punta ad avere emissioni zero di anidride carbonica entro il 2050, va da sé che non è chiaro dove saranno trovati i finanziamenti(!). In particolare Ursula Von der Leyen non intende concedere deroghe al patto di stabilità scomputando i cosiddetti investimenti verdi, probabilmente perché teme che qualcuno possa fare il furbo. Parlare di Europa in questi giorni, soprattutto trovandosi in Italia(!), vuol dire parlare di MES. Come è noto alcune forze politiche ritengono la modifica del meccanismo, sostanzialmente introdotta per coprire anche il sistema bancario, svantaggiosa per il nostro Paese. Anche qui si parla di backstop intendendo un prestito che il MES potrebbe essere chiamato a fare al fondo di risoluzione delle crisi bancarie. Le opinioni sono tutte legittime vale giusto la pena fare un paio di precisazioni. La prima riguarda le banche tedesche. Per quanto, soprattutto quelle regionali tra le quali una è stata salvata nei giorni scorsi, possano essere in difficoltà le paure legate ai derivati sono esagerate. Lo sono semplicemente perché si fanno i calcoli al lordo, immaginando cioè che le posizioni aperte non possano essere semplicemente chiuse evitando di dover essere chiamati a sostenere determinati impegni che sono previsti solo se i contratti vengono mantenuti aperti e portati a scadenza. La seconda considerazione è che tirarsi indietro vorrebbe dire sostanzialmente dichiarare di aver paura di non avere un debito pubblico sostenibile ingenerando pericolosi corti circuiti nei mercati. Inoltre è bene ricordare che nessun fondo potrebbe salvare un Italia che dovesse fallire e, quindi, non è questo che l’Italia deve cercare come vantaggio dal MES.E’ bene accontentarsi del contributo alla stabilità del sistema che, comunque esiste. Naturalmente sarebbe bene che venisse portato avanti anche il progetto di unione bancaria che, mediante il meccanismo comune di garanzia dei depositi, renderebbe più facile proseguire il risanamento delle banche europee grazie a fusioni internazionali. Infine vale la pena osservare che le somme che i singoli paesi saranno chiamati ad impegnare per il MES non saranno direttamente sborsate, è richiesta, più semplicemente, una garanzia per poter trovare le risorse sui mercati obbligazionari (*). Rimane aperta anche la discussione su quella che è definita ponderazione zero ossia l’inserimento dei titoli di Stato nei bilanci delle banche senza differenze legate al livello di indebitamento dell’emittente.

Come è noto tra pochissimi giorni ci sarà un nuovo parlamento a Londra. Se dovesse vincere Johnson probabilmente chiederà un estensione del periodo di transazione, attualmente previsto scadere nel dicembre 2020, per poter raggiungere un accordo che non causi tensioni commerciali. Tutti i grossi accordi commerciali hanno avuto bisogno di tre o quattro anni per essere conclusi ed è logico che venga chiesta una proroga contando sul fatto che l’opinione pubblica ormai sarebbe soddisfatta e distratta dall’uscita e che al nuovo governo non converrebbe correre rischi sul fronte dei risultati economici. Qualora i conservatori non ottenessero la vittoria si andrebbe verso una coalizione il cui unico collante sarebbe quello di eliminare la Brexit direttamente o dopo un nuovo referendum e poi, molto probabilmente, si tornerebbe al voto. In alte parole è possibile che il fattore Brexit non sia più tra i rischi geopolitici nel 2020, mentre i dazi quasi sicuramente continueranno a fornire materia di discussione. L’ultima dichiarazione di Trump, circa la Cina, risale al recente vertice NATO dove ha sostenuto che la questione potrebbe essere risolta dopo le elezioni oltre ad aver minacciato gli europei che continuano a parlare di web tax. Molti commentatori attribuiscono il nervosismo di Trump al procedimento di impeachment che è stato ufficialmente avviato dai democratici alla Camera. In realtà il processo vero e proprio si terrà al Senato, dove Trump ha la maggioranza, ed è molto difficile che il terzo procedimento della storia contro il Presidente degli USA abbia un esito diverso dagli altri due che sono stati respinti. Certo le accuse appaiono solide e potrebbero avere un peso nel complessivo giudizio degli elettori a novembre.

Venendo alle previsioni per il 2020 in estrema sintesi possiamo dire che i rendimenti obbligazionari resteranno negativi o comunque ridottissimi e che la performance dei mercati azionari dovrebbe restare positiva anche se, probabilmente, non più a due cifre. Sul fronte geopolitico i riflettori, come abbiamo già detto, rimangono accessi sui dazi, sul Medio Oriente e, quindi, sul prezzo del greggio e sulle elezioni presidenziali per quanto manchino statistiche idonee a dimostrare che un anno elettorale sia stato in passato diverso dagli altri. Quest’anno elementi nuovi potrebbero essere la forte polarizzazione dell’elettorato e l’eventuale presenza di un candidato democratico, come dire, più a sinistra del solito. Il dollaro dovrebbe mantenere il vantaggio legato a tassi di interessi più alti almeno nella prima metà dell’anno.

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(*) Le possibilità che le garanzie debbano essere versate sono nulle. Visco in una recente audizione alla Camera ricorda che la garanzia italiana è per 125 mld, quella tedesca per 250 e quella francese per 200. In altre parole se si dovesse arrivare a richiedere somme simili il problema non avrebbe, comunque una soluzione… Il meccanismo previsto per arginare la crisi di un paese è l’OMT, mai usato finora, che prevede un acquisto illimitato dei titoli di uno Stato, ma si deve passare da un accordo col MES… !

 

G.G e M.R.

Questo articolo si basa su dati di pubblico dominio ritenuti attendibili, ma suscettibili di modifiche improvvise. Intende proporsi come ausilio alla comprensione dei movimenti dei mercati finanziari. Non vuole essere in alcun modo uno strumento di analisi o uno studio, né intende sollecitare qualsiasi operazione di compravendita di prodotti finanziari. Si ricorda che ogni risparmiatore deve basare le sue decisioni d’investimento su una propria convinzione. Questo Blog si limita a presentare una sintesi delle opinioni diffuse sui mercati finanziari.

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Auguri di Buone Feste e di un felice e proficuo 2020 a tutti Voi !!

Lorenzo Lotto (1480-1557), Adorazione dei Pastori, 1534.
L’opera è conservata presso la Pinacoteca Tosio Martinengo a Brescia.

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