Cosa può succedere all’euro?

Edwin Thomas Roberts (1840-1917): A casa sani e salvi. Ci sarà un approdo sicuro per la valuta unica?

 

Brevi cenni storici. Le aspettative di chi vorrebbe star fuori. Le risposte di chi crede nell’euro. Quello che, comunque succederebbe subito (e su cui le due parti sono d’accordo ! ). Cosa dovrebbe accadere perché la valuta unica possa andare avanti e quali sono i problemi italiani da affrontare sia fuori che dentro la valuta unica. Cosa determina lo spread.

Come sappiamo l’euro è nato, per i mercati finanziari, il primo gennaio del 1999 ed è entrato nelle tasche degli italiani tre anni dopo. Alla partenza i partecipanti erano 12, attualmente è usato da 19 dei 28 Paesi aderenti all’Unione Europea ossia da più di 340 milioni di persone. Ne sono fuori la Danimarca, l’Inghilterra, la Svezia, la Polonia, la Romania e altre nazioni dell’Europa orientale.

Nell’ultimo periodo viene sempre più messo in discussione e non pochi economisti sostengono che sia ad un bivio: o si fa un balzo in avanti o ci sono forze che ci riporteranno indietro; verso le valute nazionali oppure verso un Europa a due velocità (si veda ad esempio l’intervento di Lucrezia Reichlin, professoressa alla London School of Economics).

Prima della nascita dell’euro la speculazione agiva contro le singole valute e gli Stati dovevano reagire aumentando i tassi o chiedendo prestiti. Per uscire da quelle dinamiche si decise di andare verso la moneta unica all’interno della quale, per i primi 10 anni, non ci fu alcun problema, in particolare in quei paesi come il nostro che hanno avuto tassi di interesse e di inflazione ben più bassi di quelli cui erano abituati. Purtroppo, sull’onda della crisi dei mutui subprime, sono emersi i primi distinguo che hanno portato gli investitori a valutare diversamente il rischio dei vari Stati emittenti e così si è cominciato a parlare di spread… !

E’ emersa la rigidità di alcune regole necessarie quando più soggetti si trovano ad usare e, quindi, a dover tutelare un bene comune.

E’ emersa una certa nostalgia delle vecchie valute e sono cominciate a circolare varie teorie in base alle quali sarebbe bene abbandonare la valuta unica.

Vedremo quali sono, perché molti ritengono che sono prive di fondamento, quali sono le cose che comunque non funzionano in Europa e come potrebbe andare a finire.

Meglio fuori, si dice da parte di qualcuno, perché è possibile svalutare la moneta ed è possibile stamparla per ripianare qualsiasi debito e, quindi, sostenere qualunque spesa. La svalutazione è sempre stata un rimedio temporaneo ed una delle principali cause dell’alta inflazione che l’Italia aveva.

Ora la globalizzazione ha fatto sì che molti dei prodotti finiti, il cui prezzo potrebbe essere svalutato, siano composti da parti costruite all’estero che costerebbero di più. Infine esistono i dazi, come ci ha recentemente ricordato Trump, ed è ragionevole che un paese che si trovasse ad avere una concorrenza sui prezzi li userebbe! A questo qualcuno trova il coraggio di ribattere che l’assenza della possibilità di svalutare ha impedito gli investimenti perché gli imprenditori, in assenza di svalutazione, non hanno creduto nella possibilità di una crescita. Da ultimo vale la pena ricordare che la nostra bilancia commerciale è in attivo il che fa venire meno il principale obiettivo della svalutazione.

Circa la possibilità di stampare moneta va per prima cosa ricordato che, comunque la BCE ha aumentato le dimensioni del suo bilancio tramite il QE. Poi va detto che il prestatore di ultima istanza, altra definizione di banca centrale (!), causerebbe, nello stampare moneta , inflazione (pressione che andrebbe ad aggiungersi a quelle legate a lla svalutazione determinata dall’uscita ). Per evitare questo fenomeno agli inizi degli anni 80 ci fu il cosiddetto divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia che impedì al nostro istituto di emissione di sottoscrivere qualunque emissione di titoli da parte del Tesoro. Possiamo dire che il dibattito sull’euro o, in alternativa ed esprimendo lo stesso concetto, tra cambi fissi e variabili risale almeno a quell’epoca.

Chi è schierato contro l’euro sostiene che il debito pubblico sia aumentato dopo gli anni 80 per via del maggior costo degli interessi che ne è conseguito, una teoria che forse dovrebbe confrontarsi con la storia della repubblica di Weimar quando un chilo di pane costava svariati miliardi di marchi . Chi sostiene l’uscita dalla valuta unica pensa che non ci sarebbe inflazione, cita il QE che in realtà è nato proprio per crearla e fa finta di non sapere che il controllo della quantità di moneta è sempre sfuggito di mano.

Con il QE la quantità di moneta in circolazione, ma sarebbe meglio dire esistente visto che in buona parte è rimasta in mano alle banche che non l’hanno prestata, è cresciuta di 5 volte senza che l’inflazione andasse alla stelle. Ciò rende, a prima vista, più debole questo argomento usato molto da chi difende l’euro. Va però detto che i danni possono non arrivare subito, ma arrivano… e che il periodo di osservazione è particolare perché le banche, timorose di trovare debitori affidabili, hanno fatto pochi prestiti.

Chi difende l’euro rimanda al periodo, durante la svalutazione degli anni 70, in cui l’Italia doveva usare le proprie riserve auree per ottenere prestiti ed imporre depositi infruttiferi ed auspica che a nessuno venga nostalgia dell’inflazione in quanto utile strumento a ridurre il debito pubblico!

Sicuramente l’Europa ha dei meccanismi da riformare, ma abbandonarla sembra non essere la soluzione ottimale. Certamente la Germania, che qualcuno accusa di neo mercantilismo (*), potrebbe sviluppare la propria domanda interna come ha sostenuto il Prof. Romano Prodi (durante la Presentazione del libro a cura di Carlo Stagnaro “Cosa succede se usciamo dall’Euro” avvenuta a Bologna il 5 novembre 2018) in cui affronta anche il tema della valutazione dei titoli di Stato e dei derivati in pancia alle banche. Alcuni derivati potrebbero forse essere più problematici dei nostri titoli di Stato. In qualche momento le spinte al rigore di bilancio sono state eccessive e va ricordato come nel 2008 Cina ed USA siano usciti rapidamente dalla crisi grazie a massicci investimenti pubblici. Nella presentazione Prodi evidenzia come il settore che ha trattenuto l’Italia, negli ultimi 6/ 7 anni, dallo stare al passo con gli altri partner europei sia l’edilizia per la quale serve assolutamente una semplificazione. Rilancia una sua provocazione secondo cui se si abolissero i tribunali amministrativi si avrebbe un PIL del 5%! Invita a cambiare la strutture delle nostre scuole tecniche che hanno 10.000 studenti contro gli oltre 600.000 aspiranti periti della Germania. Infine fa notare come gli investimenti esteri in Italia riguardino soltanto acquisizioni, nessuno si avventura a creare stabilimenti nuovi per non doversi confrontare con la nostra burocrazia.

Attenzione: nessuna di queste problematiche è legata all’euro!

Dalle recenti affermazioni del governo tutta la discussione sull’euro potrebbe sembrare inutile avendo l’esecutivo smentito più volte qualsiasi progetto in tale direzione.

Il problema sta nel fatto che la volontà del governo, forse persino quella degli esponenti più attivi su questo fronte, non è l’attuale oggetto delle preoccupazioni dei mercati che immaginano, come dire, non un’uscita su richiesta, ma un incidente dettato dalla difficoltà a finanziarsi sui mercati . Allo stesso modo, ossia sotto forma di un incidente legato alla mancanza di passi avanti per portare a termine l’iniziale progetto di unione politica, si potrebbe arrivare ad una spaccatura dell’euro.

Negli ultimi giorni lo spread è rimasto stabilmente sopra i 300 punti base una circostanza che, in una recente audizione al Parlamento, Banca d’Italia ha tradotto in cifre. La maggiore spesa per interessi, già subita nel 2018, è pari ad un miliardo e mezzo. E’ attesa per 5 e 9, rispettivamente nel 2019 e nel 2020, nell’ipotesi che rimanga invariata la differenza di rendimento richiesta tra i nostri decennali e quelli tedeschi. Da un certo livello, che non è facile identificare, ma che, ragionevolmente, si colloca sopra i 400 punti le cose potrebbero precipitare.

Al momento non risulta che le banche italiane stiano vendendo titoli di Stato anche se non sono viste neanche incrementarne i pesi nei loro portafogli. Se dovessero iniziare a vendere, spinte dal timore di veder erodere il loro patrimonio ed essere costrette ad aumenti di capitale (**), il livello dello spread potrebbe arrivare ad un punto tale da lasciare deserte le aste: la sfiducia degli investitori si manifesta prima mediante la richiesta di un tasso di interesse più elevato e poi tramite il rifiuto di concedere ulteriori prestiti.

La causa del rialzo, come è noto, è una manovra che viene considerata pericolosa ed improbabile. La moneta unica è un bene comune dei paesi che vi partecipano nata, come abbiamo visto sopra, per allontanare alcuni problemi, ma , per farlo, richiede il rispetto di regole a cui tutti i partner sono molto attenti. La procedura di infrazione potrebbe scattare per deficit o per debito eccessivo; la procedura per debito eccessivo sarebbe più problematica: comporterebbe tagli di spesa per 40-50 miliardi ogni anno.

In ogni caso quello che conta sarà la fiducia che i mercati daranno al progetto dell’euro nel suo complesso e all’Italia in particolare. L’Europa in fondo è un professore che dice allo studente di non copiare, ma solo con l’intento di proteggerne il futuro. Sicuramente l’euro è nato, come dire, gettando il cuore oltre l’ostacolo ossia senza un’unione politica che prima o poi deve arrivare altrimenti il progetto salta! Andrebbe creato un fondo di garanzia dei depositi, un meccanismo di intervento per supplire velocemente ad eventuali crisi di liquidita senza attendere i tempi di consultazione di tutti i governi. Si era discusso di Eurobond ed ora di SSBS (Sovereign bond backed securities). Gli Eurobond parlano di messa in comune del debito, i Sovereign bond backed securities cercano di fare un passo avanti venendo incontro a chi non vuole assumersi troppi rischi altrui…

Ci deve, comunque essere da parte di tutti la sensazione che nessuno stia, come dire, abusando della disponibilità altrui. A questo punto del dibattito spesso si parla di Francia e Germania cui fu concesso di sforare il 3% del deficit. Una circostanza innegabile, salvo dover ricordare che allora la Commissione propose una procedura di infrazione che fu poi respinta dal Consiglio ossia dall’organo politico. Ad oggi non sembra che l’Italia goda dello stesso favore presso gli altri governi europei. Circa la possibilità che ci sia una nuova Europa a maggio forse è bene ricordare che gli amici nazionalisti penserebbero prima ai loro contribuenti come si può già osservare dagli annunci dell’Austria.

Qualora si arrivi ad una nuova valuta le conseguenze sarebbero sicuramente pesanti per i primi due anni, su questo concordano anche coloro che credono sia meglio uscire. Si parla di una svalutazione, ragionevolmente del 30%, di tutte le attività in euro detenute in Italia. Potrebbero esserci limitazioni all’uso del contante stante la difficoltà di ricostruire tutta la massa monetaria denominata in euro. Qualcuno si spinge a ricordare quanto successo recentemente in India dove il contante è stato drasticamente limitato mettendo fuori corso le banconote di grosso taglio. Esiste poi la questione della denominazione del debito pubblico, secondo i più convinti sostenitori dell’uscita dall’euro lo Stato potrebbe stabilire per legge che va denominato in lire, altri fanno notare come le clausole CAC prevedano che gli investitori possano fare opposizione a questa scelta, il che comporterebbe per lo Stato italiano essere indebitato in una valuta più forte della propria: un’autostrada per il default!

Ovviamente la questione sarebbe oggetto di trattative ma il nuovo debito dovrebbe, comunque essere espresso in euro per trovare qualche compratore straniero. La repressione finanziaria, obbligare gli italiani a comprare il debito, è certamente possibile ma difficilmente favorirebbe gli investimenti privati… ! Altra questione da dibattere è la permanenza nell’UE. Al momento non è prevista nei trattati la sola uscita dalla moneta unica. Per capire la difficoltà basta vedere come se la cava l’Inghilterra, che ha un peso ben diverso, e che qualcuno, probabilmente con una buona dose di fantasia, sostiene possa evitare guai solo aderendo al nuovo accordo che ha sostituito il NAFTA.

Per dare slancio all’Europa, rivitalizzare i paesi in difficoltà, dare un maggiore rendimento ai risparmiatori tedeschi e disinnescare gli eccessi dei populismi qualcuno ha parlato di Europa a due velocità. Un Europa che esiste già ed è persino citata nei trattati: la cooperazione rafforzata permette ad alcuni membri di trovare tra loro un accordo nel caso che un paese od un piccolo gruppo voglia bloccare una proposta. Usare questo concetto per la moneta non è altrettanto semplice. Si porrebbe, anche qui, il problema di quale valuta assegnare al debito dei paesi che escono. Lo stesso Stiglitz, premio Nobel più volte citato dagli euroscettici, riconosce che sarebbe meglio stabilire un’intesa politica maggiore tra i 19 ed andare avanti. Interessante notare che Stiglitz parla anche di un’economia completamente digitalizzata, ossia senza contanti.

NOTE

(*) Il mercantilismo era la politica economica prevalente in Europa tra il XVI e il XVII secolo che aveva come obiettivo quello di spingere le esportazioni e disincentivare le importazioni. Ovviamente il neo-mercantilismo perseguito oggi dalla Germania, dovendo compiersi nel rispetto dei principi del libero scambio e della concorrenza, non può fondarsi sulle politiche protezionistiche fatte di dazi, tariffe, tasse, sussidi che caratterizzavano il passato. Oggi la struttura dell’eurozona sembra piuttosto prestarsi bene alle politiche di moderazione salariale, tese al contenimento della domanda interna che permette di mantenere bassa l’inflazione. In realtà il perno della politica di controllo della bilancia commerciale perseguita da Berlino, è proprio il mantenimento di un’inflazione più bassa rispetto ai propri partner commerciali. L’inflazione media in Germania dalla nascita dell’eurozona si è attestata intorno ad un valore medio inferiore di circa lo 0,5% rispetto al target del 2% indicato dalla BCE. Una vera politica di disturbo del vicinato che ha prodotto un vantaggio in termini di tasso di cambio reale rispetto ai partner europei. Qui la corrispondente di Repubblica da Berlino racconta come Merz, uno pei principali candidati per il post Merkel, abbia sostenuto, in una riunione a porte chiuse, che andrebbe spiegato ai tedeschi che sono quelli che più hanno tratto vantaggio dall’euro !!

(**) Per chi non avesse chiaro il passaggio : il rialzo dei tassi fa calare il valore dei titoli presenti nei bilanci delle banche che sono costrette a svalutarli e a imputare la perdita direttamente al patrimonio che, passato un certo limite (il solito CET1) deve essere ricostituito. A questa regola (mark to market) si sta cercando di porre un’eccezione per le piccole, un’ottima mossa per isolarle dai mercati…

 

 

Lascia un commento