Cosa succede sui Mercati – 12 Aprile 2019

Jean Honorè FRAGONARD (1732-1806): MOSCA CIECA. Le mosse del governo inglese somigliano molto al classico gioco per bambini.

Possiamo dire che tutte le opzioni per la Brexit rimangono aperte: da un’uscita senza accordo ad un secondo referendum che potrebbe anche essere indiretto ossia ottenuto dal risultato delle elezioni europee. Il nodo da sciogliere resta quello irlandese. Le aspettative di politica monetaria espansiva ed inflazione contenuta si fanno sempre più strada tra gli investitori al punto che sempre più spesso si parla della teoria della nuova moneta secondo cui si può fare tutto stampando moneta. Negli USA sono attesi benefici dalla deregolamentazione e dalla stabilità del prezzo del petrolio, ancora una volta grazie allo shale oil ed in particolare al bacino del Permian in Texas destinato a diventare il più grande giacimento di petrolio al mondo. Il FMI lancia, comunque un avvertimento circa i rischi che incombono sull’economia mondiale principalmente a causa delle possibili guerre commerciali che sono già ritenute responsabili di un rallentamento negli investimenti privati.

Il FMI ha abbassato le stime sulla crescita mondiale parlando di un rallentamento globale nel secondo semestre del 2018 a causa delle tensioni commerciali e di un inasprimento delle condizioni finanziarie.

La politica monetaria è tornata ad essere espansiva e si parla persino di un ribasso dei tassi statunitensi o di un ritorno al QE. Il Fondo riconosce i potenziali benefici della decisione delle autorità monetarie, ma parla di momento delicato per l’economia mondiale. I rischi segnalati sono quelli noti da tempo(!): l’alto indebitamento di alcuni paesi, il possibile ricorso alle politiche protezionistiche e le scelte inglesi. Le prospettive della Brexit sono ancora confuse ed aperte a tutte le soluzioni, circa le possibili conseguenze è interessante una presentazione fatta all’Università di Cambridge da un noto economista tedesco Hans Werner Sinn. Ovviamente tratta la questione dal punto di vista della Germania, d’altra parte sono note le sue posizioni, come dire, rigoriste e molto attente agli interessi del contribuente tedesco. Ricorda che l’entrata di Londra nell’UE, avvenuta nel 1973, è stata in qualche misura ritardata dalla Francia schierata contro le richieste di Berlino nel 1963 e nel 1967. Ritiene che la p resenza del Regno Unito abbia favorito il libero mercato che la Francia tuttora non apprezza particolarmente ad esempio perché ha interesse che la propria agricoltura sia protetta da quella statunitense. Di fatto le tariffe agricole dell’Unione sono mediamente del 20% superiori a quelle mondiali, immagina che ci possano essere contrasti di interesse tra Francia e Germania se, ad esempio, Trump chiedesse di abbassare le tariffe agricole minacciando di mettere dazi sulle auto europee, ossia tedesche. Ricorda che in Europa esistono degli accordi che consentono ad una cosiddetta minoranza di blocco, pari al 36% della popolazione, di fermare le decisioni della maggioranza. L’uscita di Londra farebbe perdere al blocco dei paesi nordici la capacità di bloccare le decisioni dell’UE mentre rimarrebbe ai paesi mediterranei che vedrebbero anche aumentare il loro peso. L’economista tedesco ricorda poi che il 48% dell’export inglese va verso l’Europa, che l’introduzione dei dazi potrebbe farsi sentire, che la City sicuramente perderebbe peso, ma ritiene anche possibile che nel lungo periodo l’industria manifatturiera inglese, il cui peso è comunque limitato al 9% del PIL, possa beneficiare dal calo della sterlina tenuta finora alta dall’afflusso di capitali verso la City. Analizza le richieste di Londra trovandole, in qualche caso, ragionevoli e proponendo un loro parziale accoglimento, in particolare con riferimento ai costi del welfare che il Regno Unito trova siano posti troppo presto a proprio carico relativamente a tutti coloro che vi si trasferiscono. Una richiesta che era stata fatta anche da Cameron prima di indire il referendum, ma che l’Europa ha sempre respinto. Infine ricorda il tema del backstop ritenendo estremamente improbabile che possa essere trovata una soluzione stante il rischio concreto che una qualunque frontiera possa far rinascere il terrorismo legato all’IRA e che dopo il referendum già previsto per riunire l’Irlanda anche la Scozia possa richiederne uno per staccarsi. Senza un accordo Londra andrebbe via subito dall’UE, ove venisse trovato inizierebbe un periodo di transizione durante il quale tutto rimarrebbe invariato. Il periodo di transizione dovrebbe durare per tutto il 2020, ma Londra può, entro luglio del prossimo anno, chiedere che venga prolungato fino al 2022.

Tornando alle previsioni che il FMI ha rilasciato oggi vediamo che non parlano di recessione, ma soltanto di un rallentamento della crescita che, comunque, come abbiamo già detto sopra, viene considerata in pericolo per quanto sostenuta dalle autorità monetarie. L’economia statunitense in particolare viene vista in crescita del 2,3% quest’anno e dell’1,9% nel 2020 dopo aver riportato un aumento di quasi il tre per cento nel 2018.

Grazie al cambio di passo della FED che dopo aver parlato di diversi aumenti di tassi nel 2019 e nel 2020 è passata a parlare di un solo aumento e persino di nessun aumento si è avuto un forte calo nel rendimento del decennale statunitense che ora è pari al 2,5% (*) dopo aver superato il tre. A tratti si è persino avuto un’inversione della curva dei tassi: rendimenti a breve termine più alti rispetto a quelli a lungo, una circostanza che speso viene considerata come segnale anticipatore di una recessione. Nelle attuali circostanze però sia Morgan Stanley che Merrill Lynch hanno respinto questa interpretazione facendo presente che altri indicatori la escludono. Il mercato del lavoro rimane solido: a marzo sono stati creati 200.000 nuovi posti di lavoro, ugualmente in crescita risultano i prezzi

delle case ed il prezzo del petrolio è visto in un salutare intervallo compreso tra 50 e 70 dollari consentendo sia ai consumatori che ai produttori di non avere problemi. Nel fare queste stime gli analisti contano molto sullo shale oil statunitense ed in particolare su un bacino in Texas: il Permiano che dovrebbe passare, entro la fine del 2024, dagli attuali quattro milioni di barili al giorno ad otto. Appare destinato a superare quello che per decenni è stato considerato il più grande giacimento di petrolio al mondo: quello di Ghawar in Arabia saudita. Gli ottimisti puntano anche sulla deregolamentazione. Merrill Lynch cita uno studio dell’Office of Management and Budget che riporta come Trump abbia ottenuto 23 miliardi di risparmi in costi burocratici contro un aumento di 245 sostenuto dagli USA nello stesso intervallo di tempo dell’amministrazione Obama. Ricorda anche come sia calato, per la prima volta in 40 anni, il prezzo dei medicinali grazie all’aumento delle autorizzazioni per i farmaci generici.

Chi sofferma la propria attenzione sulla fragilità ricorda soprattutto il pericolo insito in un eventuale aumento delle tariffe, vuoi per la Brexit, vuoi per le tensioni tra Pechino e Washington. Inoltre non condivide l’entusiasmo con cui sempre di più anche negli USA si tende, come dire, a sdoganare il deficit: la cosiddetta teoria della moneta moderna secondo la quale si può stampare moneta per risolvere tutti i problemi. Il deficit degli USA era pari al 3,9% del PIL nel 2015 ed è previsto al cinque, pari a circa 500 miliardi, nel 2019.

Alla teoria della moneta moderna si affianca il Green New Deal. Un programma portato avanti da qualche democratico che vorrebbe arrivare ad azzerare le emissioni di anidride carbonica entro il 2030. I pessimisti arrivano a parlare di possibile ondata di sfiducia del dollaro se si dovesse andare troppo oltre su un percorso simile. Un punto di vista in qualche misura azzardato anche se va ricordato che il passaggio dai cambi fissi a quelli flessibili, all’inizio degli anni 70, è stato imposto proprio dalla considerazione che c’erano troppi dollari in circolazione. Gli ottimisti fanno notare come negli ultimi anni la crescita della base monetaria negli USA non abbia portato ad un aumento dell’inflazione come avveniva in passato. I pessimisti temono che le autorità monetarie possano perdere il controllo e che nessuno sia in grado di gestire le future crisi se si dovesse davvero iniziare a stampare moneta senza freni.

(*) Parallelamente è aumentato il numero di titoli in circolazione con un rendimento negativo. Chi presta soldi alla Germania per dieci anni non ottiene niente in cambio.

G.G e M.R.

Questo articolo si basa su dati di pubblico dominio ritenuti attendibili, ma suscettibili di modifiche improvvise. Intende soltanto proporsi come ausilio alla comprensione dei movimenti dei mercati finanziari. Non vuole essere in alcun modo uno strumento di analisi o uno studio, né intende sollecitare qualsiasi operazione di compravendita di prodotti finanziari. Si ricorda che ogni risparmiatore deve basare le sue decisioni d’investimento su una propria convinzione. Questo Blog si limita a presentare una sintesi delle opinioni diffuse sui mercati finanziari.

© Copyright www.prosperitas.it – Riproduzione riservata

Lascia un commento