Cosa succede sui Mercati – 6 Agosto 2019

William Powell FRITH (1819-1909): IL SEGNALE. Sono diversi i segnali che i mercati stanno cercando di analizzare per capire che direzione prendere!

La FED ha abbassato i tassi. La BCE continua a subire pressioni dalla Germania per non seguirne l’esempio. Il dialogo tra Xi e Trump continua ad essere difficile e la sua evoluzione potrebbe avere conseguenze sui futuri comportamenti delle autorità monetarie statunitensi. In sospeso ci sono anche le tariffe sulle auto europee. In Giappone Abe ha vinto ancora le elezioni e porterà l’IVA dall’otto al dieci per cento. Una Brexit senza accordo appare più vicina.

Lo schema delle trattative tra Pechino e Washington sembra ripetersi: al G20 si mostra la volontà di arrivare ad un accordo e successivamente si torna a litigare!

Trump ha minacciato dazi del 10%, a partire dal primo settembre, sui 300 mld di interscambio rimasti fuori dalle tariffe fin qui adottate perché Pechino non ha effettuato gli acquisti di grano promessi.

G li analisti sono divisi tra chi pensa che il presidente voglia far pressioni per arrivare prima ad una chiusura positiva e chi ritiene che abbia interesse a mantenere un clima ostile per poter mostrare i muscoli durante la campagna elettorale del secondo mandato o persino per far pressioni sulla banca centrale ed indurla a nuovi ribassi dei tassi. L’andamento delle trattative sul commercio è sicuramente all’attenzione delle autorità monetarie. Quello che è meno credibile è che la Cina si lasci spaventare dalla p olitica di Trump (*). Gli USA potrebbero subire più danni da un eventuale secondo round se non altro perché ora verrebbero colpiti prodotti non importabili facilmente da altri paesi e la Cina ha sua disposizione molte più armi rispetto a quelle che la narrativa di Washington descrive. UBS calcola che gli utili dello S&P 500 potrebbero perdere l’uno per cento in caso di implementazione delle tariffe.

Il contributo dell’export all’economia cinese è calato drasticamente nell’ultimo decennio. Pechino ha più motivo di essere preoccupata della tenuta del suo sistema finanziario. A maggio c’è stato il primo fallimento di una banca dopo 20 anni, la Baoshang bank non è riuscita a finanziarsi sul mercato interbancario facendo schizzare i tassi temporaneamente in alto. Dopo il riaccendersi delle tensioni commerciali tra USA e Cina, e non dobbiamo dimenticare che a maggio Trump si è preso sei mesi per decidere cosa fare con le auto europee senza che da allora si siano viste schiarite sul tema, i decennali tedeschi hanno visto un rendimento dello 0,45% (negativo si intende !). Ad oggi, come dire, per avere la soddisfazione di vedere scucire qualche marco a Berlino è necessario aspettare più di 25 anni. Al momento i mercati, intendendo con questo quanto emerge dalle quotazioni dei contratti futures, si aspettano ancora altri tagli da qui alla fine del 2020, ma, al solito, tutto può essere rimesso in discussione.

Come abbiamo già detto molto dipenderà dall’andamento delle trattative commerciali, ma anche dal comportamento delle altre banche centrali. Non va dimenticato che abbassare i tassi vuol dire indebolire la propria valuta e, quindi, favorire le esportazioni. La BCE ha detto di voler proseguire nella propria politica monetaria espansiva ed in molti ritengono che Christine Lagarde sia stata già commissariata da Draghi, ma non mancano, dalla Germania, le voci di chi ritiene che gli attuali livelli dei tassi siano pericolosi. L’economia tedesca ha subito un rallentamento come testimonia l’ultimo indice IFO , ma Hans Werner Sinn, noto economista contrario alle politiche monetarie espansive, teme che un calo dei tassi non sia la soluzione. Richiama quello che, negli anni 70, fu indicato come il male olandese (dutch disease). In Olanda arrivarono i proventi delle estrazioni petrolifere, ma l’economia subì un rallentamento perché il gas veniva venduto in fiorini olandesi: la domanda di valuta ne fece apprezzare molto il cambio e questo rese le altre parti dell’economia meno competitive. Il noto professore tedesco teme che possa determinarsi una pressione al rialzo sui salari delle imprese manifatturiere mentre il calo dei tassi potrebbe favorire maggiormente altri settori dell’economia. Ricorda che ci sono già pressioni sui salari e che i costi, per le aziende, sono destinati a salire anche per gli investimenti sull’auto elettrica necessari a rispettare le direttive che vogliono contenere le emissioni di anidride carbonica. Cita infine il bilancio della BCE che è già cresciuto in abbondanza essendo salito da 1200 miliardi a 3200.

Le considerazioni sull’economia e sui titoli del debito pubblico in mano alla BCE e soprattutto il contrasto tra la filosofia dei falchi tedeschi e quella di chi vuole ulteriori stimoli monetati rendono quasi immediato il collegamento col Giappone che ha il debito p ubblico più alto al mondo. Abe ha vinto le elezioni, dopo sette anni di governo, ed aveva annunciato in campagna elettorale che ad ottobre avrebbe aumentato l’IVA di due punti percentuali, portandola al 10, nel tentativo di contenere l’enorme debito pari al 226% del PIL. La mossa di Abe è comunque rischiosa perché l’ultima volta ha rallentato l’economia. L’aumento è essenziale per evitare che il debito cresca: è troppo alto anche se in Giappone c’è una sorta di repressione finanziaria (l’acquisto del debito è in qualche modo pianificato), e per fronteggiare l’invecchiamento della popolazione. Nel 2014 l’economia andò in recessione dopo che l’IVA fu aumentata all’otto per cento. Attualmente Tokyo viene da un buon ciclo di crescita, in rapporto ai numeri giapponesi si intende, ma una recessione interna unita ad un rallentamento dei commerci per tariffe e Brexit potrebbe causare dei problemi.

Venendo alla Brexit sappiamo che a Londra c’è un nuovo primo ministro, per la verità eletto da un ristrettissimo numero di iscritti al partito conservatore, che continua a parlare di un’età dell’oro da raggiungere, magari non subito…, dopo l’uscita dall’Europa. Il governo è cambiato in gran parte con l’entrata di molti ministri favorevoli all’uscita anche senza accordi, ma il parlamento è rimasto quello che ha messo in difficoltà la May! Non è escluso che si arrivi a nuove elezioni (anche se la legislatura avrebbe davanti ancora anni) o ad un nuovo referendum. Ipotesi che potrebbero anche far maturare un nuovo rinvio della scadenza attualmente collocata fine ottobre. Gli esiti di eventuali nuove consultazioni restano incerti anche se, forse, una qualche paura si sta facendo strada tra chi, come mero atto di generica protesta e persino abitando in zone che hanno ricevuto ingenti sussidi europei, ha votato per uscire. La regina per ora non si è pronunciata, diversamente da quanto aveva fatto in occasione del referendum scozzese.

Un libro scritto da Marco Varvello, corrispondente da Londra, ricorda come la sovrana si sia presentata in parlamento per la prima seduta del secondo governo May, quello dopo le elezioni che ne hanno ridotto la maggioranza, con un abito blu a bottoni dorati, difficile che, come dire, non si sia accorta della somiglianza con la bandiera europea.

Le aspettative sull’andamento dei mercati rimangono buone anche se molte case d’investimento nei loro asset consigliati, agli investitori istituzionali, inseriscono delle put option. Indicano cioè la volontà di essere prudenti acquistando contratti che possano garantire la possibilità di vendere ad un prezzo più alto rispetto a quello di mercato. In pratica si paga un premio per avere la possibilità, entro una data scadenza, di vendere ad un dato prezzo. Ovviamente chi vende l’opzione conta di incassare il premio e basta chi l’acquista immagina di poter avere l’opportunità di vendere ad un prezzo alto rispetto al mercato in discesa. Lo stesso taglio di tassi, per altro ampiamente scontato (solo una minoranza di operatori si aspettava un taglio di mezzo punto) non è ancora ben decifrato: potrebbe indicare il timore di un rallentamento piuttosto che l’inizio di un percorso in grado di accompagnare ancora il più lungo ciclo rialzista dei mercati. Da segnalare anche come Morgan Stanley stia suggerendo di ridurre il peso dell’azionariato globale. In particolare la prestigiosa casa d’investimento statunitense segnala il rischio che possa essere in arrivo un cambio di umore degli investitori che potrebbero passare dall’idea che la FED supporta i mercati comunque, indipendentemente dal fatto che ci siano problemi di crescita, ad una fase in cui il supporto arriva solo se ci sono difficoltà e che, in caso di forza dell’economia, possa essere allentato.

(*) Il confronto tra Cina ed USA, sia pure in una prospettiva di medio-lungo termine, è anche militare. La Cina si è proposta di diventare una potenza navale e per quanto abbia molta strada da fare per bilanciare la potenza delle portaerei di Washington sta sviluppando una tecnologia missilistica, gli ultimi esperimenti sono di un mese fa, in grado di tenere lontana la flotta americana dai propri mari. La marina cinese avrà anche il compito di tenere sotto scacco Taiwan e di controllare le aree di influenza giapponese. A Taiwan ci saranno elezioni a breve e nessuno dei candidati ha intenzione di riunificarsi a Pechino. Pechino invece aspira da sempre alla riunificazione e secondo molti analisti da qui a 10, 20 anni scatenerà un conflitto per raggiungere l’obiettivo. Il Giappone si propone di cambiare la Costituzione per poter aumentare gli investimenti militari.

G.G e M.R.

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